Siamo molto orgogliosi di aver registrato questa chiacchierata con Federico Brugia, Regista e Sceneggiatore di successo internazionale.
Ci ha parlato di creatività, della relazione con il Direttore della Fotografia e delle difficoltà che si affrontano durante la produzione di un film.
Non è un tecnico il Direttore della Fotografia, è un artista della luce.
La figura del Regista negli ultimi anni è stata sottoposta a grandi evoluzioni, ma ci sono priorità su cui è indispensabile rimanere fermi.
Difendere la propria visione, portare valore aggiunto con le proprie idee e coinvolgere senza paura tutti i reparti per spingerli verso un risultato più alto: questo è il mestiere del Regista.
Tu sei quello che è riuscito a convincere il cliente a mandare in onda, non sei soltanto quello che è sul set. Il gap fra quello che hai montato e quello che va in onda, è la tua sconfitta, è la misura della tua inefficacia.
Bisogna avere carattere e sviluppare capacità che vanno oltre la tecnica: gusto, empatia, creatività e capacità di andare oltre le parole per capire il senso delle richieste.
Difendere il proprio stile, salvaguardare il prodotto e far si che sia utile al cliente, rispettare il senso della storia senza forzature; è tutto molto complesso e farlo con il peso di grandi responsabilità è ancora più difficile.
Una produzione io la descrivo sempre come un ring quadrato in cui vai a letto felice se hai fatto il tuo dovere, se hai spinto tutto, il tuo cliente, gli attori, alle corde del ring, sul perimetro dell’area, che è quello a rischio, quello che se per caso caschi dall’altra parte qualcuno si fa male. Puoi essere tu per primo come Regista a farti male, o il cliente che fa una cosa bellissima che non gli serviva o un Produttore che sta perdendo dei soldi. Se invece riesci a portare tutti sul bordo rimanendo su questo quadrato, allora hai fatto proprio bene il tuo lavoro.
Ascoltare le parole di Federico ci ispira a mettere ancora più passione nel nostro lavoro.
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Prima dell'intervista a camere "Off Records" abbiamo scambiato due parole, che abbiamo trascritto perché molto belle.
L:Intanto mi sono visto qualche tua intervista di quelle già pubblicate. Risalgono a nove anni fa, cinque anni fa. Di recente recente ho trovato quella di AIR3.
F:Quella di AIR3... si, che è recente fino a un certo punto.
L:Eh, appunto.
F:Dai, facciamo una roba...Aggiorniamole quindi queste informazioni.
Dimmi un po’ di cosa parliamo.
L:Allora, io mi sono segnato un po’ di punti. Tieni conto che questo canale è rivolto più che altro a quelle giovani leve, cioè giovani dai 25 ai 35 che iniziano a orientarsi nel mondo del lavoro e non è che sono proprio consapevoli di dove stanno andando a parare.
Cioè, un po’ escono dalle scuole, così, con grande ingenuità, e poi si vanno a schiantare con il mondo del lavoro che ha altre prerogative, mettiamola così. Quindi tutte queste interviste sono al loro servizio come orientamento e anche come ispirazione.
F:La generazione X Factor, come li chiamo io. C'è il lato positivo e il lato negativo: il lato positivo è che tu dai una penna a tutti e tutti possono scrivere, il lato negativo è che quando tutti possono scrivere finiscono i libri ed è come internet dove tutti fanno delle cose poi però è difficile mantenere la cosa. A parte che questo abbassa molto il livello qualitativo del tutto.
L:Prima questo canale era più rivolto alla parte tecnica-operativa.
F:Ti ricordi infatti che ti avevo detto “guarda che non sono un tecnico”. In realtà si, però non mi piace più di tanto parlare di tecnica.
L:Infatti poi, piano piano, si è spostato su quello che sono tutte quelle competenze laterali che non sono rivolte necessariamente alla tecnica ma che poi sono, se non la parte più importante, la parte più difficile da imparare. Perché è quella che non ti insegnano a scuola, è quella che devi per forza maturare per i fatti tuoi e non ci sono grandi libri o istruzioni per arrivare a conseguirle. Dal gusto, al saperci fare anche con le maestranze.
F:Bravo. Questa qui è una cosa di cui poi parliamo secondo me, cioè il fatto che quello che poi a scuola non ti insegnano... Perché la generazione di 25/35enni che tu hai descritto prima infatti è una generazione che ama definirsi filmmaker, videografi, videomaker, c'è una paura pazzesca di dire “io faccio nella vita il regista”. Poi, “cosa ti piace fare?”, “vado al cinema”, “cosa vai a vedere?”, “Quentin Tarantino”, cosa c'è scritto? Regia di Quentin Tarantino, non c'è scritto... E questo presuppone tutta una gestione, che non ti insegnano a scuola, sia del prima che del dopo, perché come dico sempre io, uscito da scuola ci mancherebbe altro che tu non andassi su un set, non portassi a casa qualcosa di bello. È il gioco più bello del mondo, è quello che volevi fare nella vita, ti danno la possibilità di farlo, certo che lo fai bene. Il punto è quando smette di essere un videoclip o un filmato finto o un filmato per l'amico eccetera e cominci a entrare in quello che è il business vero che prevede le riunioni, la politica, il rapporto che dal più giovane dei registi al più scafato degli artisti ha comunque con una committenza, cioè con qualcuno che mette i soldi e quindi poi vorrà orientare il tuo lavoro verso delle cose diverse da quella che è la tua visione eccetera eccetera. Questa è una cosa che poi secondo me manca molto oggi.
L:Cioè la capacità di relazionarsi con il cliente?
F:La capacità di relazionarsi con il cliente prima e con delle troupe vere dopo, perché quando poi impari a scuola e sei sempre a fare il videomaker con i tuoi tre amici eccetera eccetera, che ti fai un pochino tu le luci, che adesso ci sono gli Astera che ti salvano il culo perché è comunque sempre bella, i LED che comunque sono dimmerati e comunque va sempre bene, il monitor della cammar che comunque lo vedi, più o meno funziona, i programmini eccetera, poi però ti trovi che magari sei bravo veramente e di colpo ti scontri con l'industria quella vera che ti mette una troupe, che ti dà un direttore della fotografia che ha delle sue opinioni eccetera eccetera e dei clienti, una committenza - ma questo vale per la pubblicità o per il cinema- che vuole confrontarsi con te e lì secondo me un pochino fanno acqua certi, così come certi no.
L:Lì devi per forza aver maturato una tua scala di valori da difendere e due... Non so, c'è proprio un discorso di leadership.
F:C'è quello e c'è il fatto che, ripeto, questo è il lato negativo del low budget, cioè della generazione 5D, se ti ricordi la Canon. A me, se c'è una roba che detesto è fare il vecchio però, ai miei tempi, quando c'era la pellicola, dietro ogni scelta, dietro qualsiasi cosa c'era una quantità di soldi da spendere e quindi decisioni da prendere molto oculate da parte del produttore che doveva scegliere veramente qual era il regista giusto, da parte del regista che doveva scegliere veramente qual era l'inquadratura giusta, da parte del cliente che doveva veramente farsi convincere da un regista perché ogni volta che tu facevi frollare dei metri di pellicola era sviluppo, era stampa, prima ancora che color correction eccetera, eccetera. Oggi una cosa che fai con pochi soldi evidentemente ha snellito tutto questo processo e c'è del bene e c'è del male in questo, come chi ha il metabolismo veloce: c'è di bello che può mangiare tutto e non ingrassa, c'è di brutto che però non capisce come ci si alimenta e poi si trova con dei problemi dopo.
L:Quando ho intervistato Carnera, diceva che un suo amico, adesso non mi ricordo se regista...comunque aveva citato un personaggio che lavorava in digitale però lavora in digitale come se fosse pellicola.
F:Questa è una cosa bella.
L:Quindi, premeva REC, se non andava bene cancellava il file.
F:Si, anch'io faccio spesso questa cosa qua. In realtà per non confondere i montatori, perché non resti traccia di cose sbagliate eccetera. Comunque anch'io, si...cioè, se parti dalla pellicola comunque rimani con quell'approccio. Rimani che l'inquadratura la cerchi, che se fai una camera a mano tu dici 'io devo arrivare da qui a lì', componi l'inquadratura esattamente come se fosse un carrello o un dolly o quello che sia, e poi per scelta stilistica la fai un pochino cercata eccetera. Però io non ci riesco e non trovo che sia utile riuscirci a fare la camera a mano libera ‘ndo cojo cojo’, cosiddetta.
L:Pure la camera libera è un linguaggio che ha tutto un suo alfabeto.
F:Si. Hai ragione perché poi, una delle cose belle del cinema è che è uno degli arsenali più ampi che ci siano nell'arte. Cioè, pensa alla quantità di cose che noi abbiamo per esprimere la nostra visione rispetto alla pittura, alla... Certo, la lingua scritta ha una serie di combinazioni linguistiche, di cose, eccetera, però poi alla fine sono parole. Noi ce ne abbiamo di cose: formati, tipologie di luci, di cose. E quindi anche la macchina a mano, se fatta con intelligenza, può presupporre una regia molto importante. Io mi sono trovato, in realtà, una volta a fare il film cosiddetto ‘ndo cojo cojo’ chiedendo al direttore della fotografia di fare in modo che, non 360 gradi, ma come minimo le tre pareti del set fossero illuminate per questa festa che dovevo riprendere - esattamente quel limbo - che io mi potessi muovere in qualsiasi punto, cioè che non ci fossero zone scure, zone di ombra, che siano volute evidentemente, per poter veramente fare una regia di tipo, come la chiamo io, teatrale cioè nel senso che tu non fai sull'inquadratura la regia ma la fai sul set, cioè dici, fate finta che sia tutto utile e a quel punto ti vai a scovare le cose. Che è un modo di fare che però non può essere sempre così.
L:Nel mondo del videomaking una cosa che io ho visto perdersi è l'azzardo al coefficiente di difficoltà di una ripresa. Questo nel live, non so quanto questo discorso possa poi centrare con produzioni più strutturate, però un conto è una ripresa che tu puoi ripetere e un conto è una ripresa che dipende dalla manualità dell'operatore nella capacità di raccogliere i tempi e di approfittare anche di errori, di imprevisti, trasformare l'imprevisto in qualcosa di unico. Però non so quanto vengano applicate queste dinamiche in produzioni più strutturate.
F:Beh, si. A parte che io sono nato così, questo infatti quando facevo, appunto, il videomaker trentacinque anni fa, sfruttando tutti i possibili errori, difetti, eccetera. Facevo prendere luce alla pellicola, sfuocavo volontariamente in modo che poi, quando per caso non mi riusciva un fuoco, sembrava che facesse parte del linguaggio, facevo tutto quello che di sbagliato si poteva fare e ne ho fatto un po’ un linguaggio che è una cosa che un po’ sta tornando questa. Io penso che oggi, anzi, questo che tu dici dell'azzardo, sia in realtà usato. Sta quasi diventando un limite, secondo me, nel senso che, come ti dicevo, una cosa è se le prime produzioni che tu fai le fai azzardate e fai un'estetica dell'errore del fuori fuoco, dell'inquadratura sbilanciata eccetera, altra cosa è poi se sai fare soltanto quello che è quello che tentavo prima di esprimere.
L:Cioè prima eri focalizzato su uno stile narrativo legato all'errore e all'imprevisto?
F:Si.
L:Io mi sono fatto una scaletta anche se in realtà già una chiacchierata del genere un po’ più libera è quello che mi interessa. Non c'è un inizio 'buongiorno siamo qui con...', capito? Non è questo.
F:Tu guidami e fermami quando parlo troppo. O stimolami se parlo troppo poco.
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Per chi vuole approfondire il suo percorso, può visionare il suo canale Vimeo a questo link: https://vimeo.com/federicobrugia
Riva in the Movie
Salmoiraghi e Vigano
Eu Concil
Twinnings
Mercedes Dircut-uk
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Federico Brugia è rappresentato da tre Agenzie internazionali:
SPAIN // LEE FILMS //
CHINA - MIDDLE-EST // CARTELLO DIRECTORS //
EST-EUROPE - GERMANY - AUSTRIA - SWITZERLAND // LIZARDS //
ITALY // AGENDA //
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Altre interviste molto belle per chi volesse avere altri spunti:
Intervista sul nuovo spot per Costa Crociere
Air 3:
Tutti i Rumori del mare:
Youmark:
A proposito di Mercato:
Prima dell'intervista abbiamo parlato circa una ventina di minuti a camere spente, e questi sono alcuni concetti che sono emersi.
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Ecco il link all'intervista pubblicata sul nostro canale YouTube.
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